domenica 18 novembre 2012

Basta morti in strada!



Nei precedenti articoli abbiamo raccontato della petizione firmata da tanti ciclisti eporediesi e consegnata al Sindaco di Ivrea, con la quale si chiedono provvedimenti a tutela di ciclisti e pedoni in città.

Sono circa 280 i ciclisti che muoiono ogni anno nelle città italiane in incidenti stradali, morti ai quali accenna solo la stampa locale con un trafiletto di poche righe, morti dei quali nessuno sa nulla.

Solo in rarissime occasioni i media parlano di qualche caso, come è successo qualche giorno fa quando una ragazza di 17 anni è stata travolta da un'auto nel lodigiano, e il caso è salito alla ribalta della cronaca perchè l'autista pare avesse bevuto un po' troppo.

È giusto e doveroso gridare allo scandalo contro chi guida ubriaco, è giusto rivendicare giustizia, è giusto chiedere controlli più severi e pene più aspre contro questi criminali che si mettono al volante in simili condizioni e poi causano la morte.

Ma è anche giusto non dimenticarsi di tutti gli altri incidenti in cui perdono la vita tanti ciclisti. Infatti i casi di morte dovuta ad automobilisti ubriachi, sotto l'effetto di stupefacenti, in condizioni di alterazione dello stato psicofisico, ammonta appena al 3 percento del totale, come ci fa notare l'Istat in un'indagine del 2008 condotta con l'Aci.

Talvolta i giornali raccontano del ciclista morto perchè non indossava il casco, o di quello travolto e ucciso perchè non aveva le luci, ma anche questi sono una minoranza. Mettersi il casco aiuta, sicuramente, ma la normativa comunitaria EN 1078 prevede che il casco garantisca sufficiente protezione per urti fino a 25/30 chilometri all'ora. Anche le luci sono indispensabili, ma di tutti gli incidenti dove un ciclista perde la vita solo in 10 percento avviene in condizioni di scarsa visibilità, tutti gli altri succedono in mattinata o nel primo pomeriggio.

Come salvare allora la vita di tanti ciclisti? Servirebbe un cambiamento culturale, servirebbero corsi di sensibilizzazione alla sicurezza stradale, magari ad incominciare dai giovani nelle scuole. E poi servirebbero le piste ciclabili, quelle nelle vie del centro cittadino dove il traffico è più intenso e lo spazio per i ciclisti è troppo esiguo. E la riprogettazione di tanti incroci troppo pericolosi per le bici. Di queste cose se ne parla da sempre, qui ad Ivrea almeno da decenni, e pur apprezzando quello che si è fatto e si sta facendo, i risultati sono scarsissimi e i tempi sembrano ancora eterni, e solo le chiacchiere e le promesse sono immediate ed abbondanti.

Resta ancora una considerazione importante da fare. Indipendentemente dalla causa che ha scatenato l'incidente, è sempre e solo uno il fattore che ne determina l'esito: la velocità. Se un auto investe un ciclista a 30 Km/h questo si ritroverà tutto rotto all'ospedale, ma se lo investe a 50 Km/h lo manda dritto all'altro mondo. Ridurre la velocità nei centri abitati aiuta, immediatamente, a ridurre il numero di vite umane distrutte.

Limitare la velocità in città a 30 Km/h, pur non aumentando in maniera significativa i tempi di percorrenza delle auto, riduce enormemente il numero di ciclisti e pedoni che perdono la vita. Questo è un provvedimento che può essere attuato immediatamente e quasi senza costi per l'amministrazione cittadina.

Per protestare per la morte della ragazza di qualche giorno fa, per protestare per la morte dei 280 ciclisti all'anno uccisi dalle auto nelle città italiane, per chiedere misure immediate di riduzione della velocità nei centri urbani, per chiedere piste ciclabili e infrastrutture che aumentino la sicurezza dei ciclisti, venerdì 16 Novembre in tantissime città italiane si è manifestato. Qui da noi, promosso da Massa Critica Ivrea, un piccolo corteo di ciclisti ha percorso le vie della città, in mezzo al traffico delle tante auto che alla sera intasano le nostre strade, per sostenere questa protesta.

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